sabato 7 gennaio 2012

Gianni Biondillo: Rompere la cornice


di Gianni Biondillo
Leggo i giornali tutte le mattine, mentre faccio colazione, al bar di Gianni. Che è cinese e chissà qual è il suo vero nome, ma tutti lo chiamano così, quando al bancone gli ordinano un caffè. Elena invece è il nome della proprietaria del ristorante cinese sotto casa mia. Poi ci sono Lia, Marco, e tutti gli altri cinesi che ho conosciuto nel quartiere multietnico dove vivo, pieno di Ahmed, Carlos, Arben, Yuri. I cinesi sono gli unici che prendono in prestito i nomi del paese che li ospitano. L’ho notato anche a Berlino o New York. Quando sento dire che sono una comunità chiusa, impenetrabile, trovo che questa sia l’ennesima scusa per giustificare i nostri mai sopiti sospetti. 
È leggendo i quotidiani da Gianni che ho saputo della tragedia di Tor Pignattara. Leggevo e guardavo lui, indaffarato alla macchina dei caffè, e la sua giovane moglie che serviva ai tavoli. Potevano essere loro, ho pensato: Il barista che ogni mattina mi disegna un cuore sulla schiuma del cappuccino e la moglie che mi porge le brioche appena sfornate. Non so come si facevano chiamare a Roma le vittime della tragedia. So che la foto apparsa sul web della loro bambina, con quella espressione dolce e buffa, mi ha straziato. “Se i rapinatori fossero stati due cinesi, se avessero ucciso una famiglia di lavoratori italiani, cosa sarebbe accaduto nelle strade di Roma?” Questa è stata l’altra cosa che ho pensato.
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