mercoledì 17 marzo 2010

Paolo Di Paolo : Roland Barthes "Dove lei non è"


BARTHES È DI NUOVO BAMBINO Il viaggio nelle viscere del dolore del grande semiologo esce nel trentennale della morte.

Questa è una storia senza storia. Fermata su ritagli di carta, essa appare «non suscettibile di alcuna dialettica narrativa». Roland Barthes, all’indomani della morte dell’amatissima madre ottantaquattrenne (26 ottobre 1977), comincia a tenere un diario. È la sua «prima notte di lutto». Le parole sembrano quasi congelate, compongono appunti rapidi, domande sospese, ricordi minimi. Barthes è sconvolto: «Tutto scoppia». Torna l’immagine del corpo di lei, della sua sofferenza. «Diceva con sollievo: finalmente la notte è finita (ha sofferto di notte, da sola, cosa atroce»). C’è, costante, un disperato interrogarsi sul «per sempre» della morte: ogni giorno lo scrittore ne avverte con più sgomento la realtà irrimediabile, definitiva («la certezza del Definitivo»): «Nella frase “Lei non soffre più”, a cosa, a chi rinvia “lei”? Cosa vuol dire questo presente?». Dice di non poter scrivere se non di questo: qualcosa «a partire da lei». E allo stesso tempo perde fiducia nella scrittura: «Non ne voglio parlare, per paura di fare della letteratura – o senza essere certo di non farne – benché in effetti la letteratura abbia origine da queste verità». Barthes esplora tale contraddizione, sente di fare esperienza insieme del limite e della forza (necessità) dell’attività letteraria. Ogni pagina andrebbe fatta risuonare, scandita – come una preghiera (il testo è attraversato da una tensione religiosa: «che verità imbecille, il materialismo!»). continua >>

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